Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
La moglie divorata
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 8, p. 3
Data: 9 gennaio 1955


pag. 3




   Chi legge in Rabelais, in bocca a Panurge, il nome di Cambles, re dei Lidii, che divorò la propria moglie, non immagina la tragedia che quel nome richiama alla memoria, tragedia umana e divina, una delle più incredibili e terribili che ci abbiano tramandato gli antichi greci.
   Cambles — che nei testi si trova scritto con diverse ortografie — regnava in Lidìa circa quattordici secoli prima di Cristo ed era, se questa cronologia è certa, un contemporaneo di Mosè. Pare che fosse un uomo violento, protervo e forse un tantino titanista tanto che un giorno, non sappiamo come, se con parole o con atti, offese gravemente gli dei della città. Questi dei non dovevano essere molto intelligenti nè molto sublimi, perchè un vero dio dovrebbe sentirsi talmente al di sopra della miserabile schiatta umana che qualsiasi gesto o verbo di questi animalucoli non potrebbe mai essere considerato offesa da chi incommensurabilmente li trascende. Ma le divinità della Lidia si sentirono molto offese dal sacrilegio di Cambles e vollero punirlo condannandolo ad una perenne voracità, a una fame lupesca, che nulla riusciva a saziare. L'infelice Cambles, per dimenticare il perpetuo martirio della ingluvie, si sfogava anche a bere. Una notte, tornato alla reggia ubriaco, si ridestò all'improvviso per l'assillo della fame e non trovando sotto mano altro cibo, nell'oscurità della notte e dell'ebbrezza, afferrò la moglie che gli dormiva al fianco e la trangugiò tutta, non lasciando di lei che una delle sue bellissime braccia.
   Cambles, quando la mattina si svegliò, e il nuovo sole disciolse i fumi dell'ubriachezza, non ritrovò nel suo letto che il braccio della regina che riconobbe da un monile che egli stesso le aveva donato. Comprese quel che aveva fatto e asprissima fu la sua disperazione perchè amava teneramente e appassionatamente la moglie sopra ogni altra creatura. E concepì un nuovo fierissimo sdegno contro gli dei, che l'avevano trascinato a tanto abominio e a tanto strazio. Corse fuori dalla reggia come pazzo e si recò al tempio maggiore della città. Entrato là dentro, nella stessa dimora degli dei, proferì contro di loro le più spaventose maledizioni e le più ingiuriose bestemmie. Quando gli fecero difetto i vocaboli e si sentì secca la bocca, trasse dal fodero la sua grande spada e con questa si trafisse, cadendo ai piedi delle statue dei suoi divini nemici.
   Questa è, in compendio, la tragedia di Camblcs e mi sembra che possa stare a confronto di quelle assai più famosa di Medea e di Tieste. Mi stupisco, anzi, che qualche imitatore di Senec:a o di Marlowe non abbia scelto come protagonista di un dramma terrificante la figura dello sciagurato re dei Lidii.
   Mi sovvíene a un tratto che il professor Giulio Cogni sostenne, alcuni anni fa, che l'essenziale carattere dell'amore è il cannibalismo e che un uomo non ama veramente una donna se non arriva al punto di mangiarla. Non conosco esempi di siffatto perfetto amore cannibalico, ma neppure lo sventurato Cambles può servire di sostegno alla tesi del filosofo senese. Infatti il re non divorò la moglie per eccesso di amore, ma sotto l'influsso del vino e sotto il peso dell'atroce condanna che gli avevano inflitto gli dei irati. Moltissimi sposi in tutte l'epoche della storia hanno ucciso le loro spose e tuttora seguitano a praticare questa sanguinose costumanza, ma nessuno, ch'io sappia. ha mai pensato di servirsi del cadavere come vivanda.


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